Del sogno, del corpo, dell’amore/ Of Dream, Body, and Love

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Come ogni tanto facciamo suggeriamo qualche testo.


Il sogno
Un giorno nella mente di Werner Herzog prese piede un’immagine che lo tormentò : una barca che risale una foresta e la voce di Caruso che risuona. Come disse H. stesso, “ci sono dei sogni che appartengono a tutti, tutti abbiamo dei sogni. L’unica differenza è che io sono in grado di articolare quei sogni” e così nacque Fitzcarraldo, uno dei suoi film più famosi. La storia è nota: Fitzcarraldo ha il sogno di portare l’Opera in mezzo alla foresta . Armato del suo giradischi cerca di raggiungere una gran fortuna: una foresta di alberi di caucciù prodigiosamente produttivi ancora senza proprietà. Secondo le teorie dei ricchissimi proprietari terrieri della zona, portando una nave da un fiume navigabile, attraverso la foresta, ad un altro fiume, invece non percorribile, si può raggiungere il famoso tesoro. E ne “La conquista dell’inutile” troviamo il diario dell’impresa di raccontare in un film questa storia, gli anni in cui H. e la sua troupe vissero in Amazzonia per le riprese del film. Perché l’articolazione del sogno di H. comporta delle regole e lo sviluppo epico della storia dell’eroe che cerca l’impossibile si specchia nelle difficoltà incontrate per realizzare un racconto veritiero. O forse meglio favolistico, assecondando l’idea di H. di somigliare a un “bavarese del tardo medioevo”. Sarebbe questo il luogo in cui discutere del rapporto tra film e documentari nella lunga produzione di H., ma ci accontentiamo di dire che in questo caso la dimensione epica e fantastica dell’avventura esplode grazie ad un linguaggio scarno ed essenziale. D’interesse per il nostro libro è che si tratta di un’impresa gigantesca in cui vengono rifiutate tutte le scorciatoie per mettere in scena il sogno. Dunque la natura non può essere quella addomesticata degli studi cinematografici o di uno zoo, come i produttori suggerivano, ma la vera brutale natura amazzonica, dove “gli uccelli non cantano, ma gridano di dolore e gli alberi intricati si artigliano l’un l’altro come in una gigantomachia, tra le esalazioni di una creazione che qui non si è ancora conclusa”. E attori e troupe devono vivere in quella foresta, non un mese ma anni, per riuscire ad entrarci in contatto creando una verità estatica priva di sentimentalismo. Una storia di rinunce, di abbandoni, di soldi che mancano e protagonisti che non reggono, mentre intorno il fiume si gonfia quando non dovrebbe e gli abitanti ingaggiati per il film hanno piccole violente guerre tribali, bevono e s’ammalano. Di donne che allattano i propri figli assieme ai maialini appena nati, alberi che esplodono quando li tagli, navi da costruire in loco e poi da trascinare davvero sulla salita nella giungla. E Kinski, protagonista rabbioso e isterico, che gli indigeni si offrono volentieri di uccidere. Non stiamo tratteggiando un sogno che si confonde con la realtà, né una sequenza di aneddoti. Ma di una visione del mondo, che si realizza nel quotidiano e nell’immaginario, e li fa assomigliare con una ferrea volontà. Che a noi manca.
parte di una piastrella colorata a mano. lato  sinistro
Corpo
Qua raccontiamo di un’ossessione. La performance come lente di lettura del mondo, qualunque cosa intendiamo per performance e per mondo : “Performance come metodologia “ di Jacopo Milani, Postmedia Books.
Performance il libro stesso ( per l’autore “la scrittura, come gesto, si lega a specifici contesti spazio-temporali e alla lettura di documenti, foto, tracce e come azione cambia continuamente forma”) inizia dalla rilettura di RoseLee Goldberg, Renato Barrilli e Richard Schechner per poi arrivare a Victor Turner, che sospettiamo non sia proprio simpatico al nostro autore. Il corpo in azione, che agisce la sua stessa trasformazione, è l’oggetto d’indagine e tale pratica può essere allenata con esercizi specifici, peraltro divertenti. Allora prendiamo Rose Lee: la performance è arte dal vivo prodotta da artisti. Come si lega questa definizione con l’utilizzo degli spazi, la comunità guardante, il tempo della sua realizzazione e la testimonianza della stessa (video, foto)? Ovvero la performance attuale, che spesso viene realizzata con il fine prevalente di divenire video, selezione d’immagini, che supera l’immediatezza dell’atto, è ancora performance? Non è una questione terminologica, ma si tratta d’indagare l’essenza di una pratica che dagli anni 80 in poi è stata sempre più diffusa, ma impropriamente evocata. Esiste e come si può fare l’esposizione di una performance, una volta realizzata? E cosa significa performance, termine quanto mai attraversabile da significanti diversi.
Il nostro autore insiste nel trovare, come indirizzo metodologico, degli elementi fissi per definire una performance e riprende il dibattito critico proprio su questo punto essenziale. Ad esempio potremmo scrivere di Performance studies e delle le teorie di Richard Shechner (anni ‘80/90) , uno dei fondatori, proprio perché elenca un insieme di regole, presenti nel gioco nella performance e nel rito, destinate a determinare un altro tempo, un altro spazio e un altro fine, tali da rendere inderogabile la distinzione tra queste pratiche e la cosiddetta “vita reale”. In particolare deve esserci una struttura formale, con un inizio, uno svolgimento ed una fine; si usano, anche nella performance più sperimentali e nei riti più antichi, gesti “recuperati” da routine, abitudini, elementi culturali consolidati dalla comunità che vi partecipa; lo spazio, nei riti come nelle performance, oltre ad essere diverso può diventare separato.
In soccorso alla sua analisi della performatività Milani richiama autori impensabili, almeno per noi, e qua inizia l’ossessione. Saussurre, Wittgenstein, Austin, Derridà e compagnia son chiamati a dire la loro, attraverso l’uso spregiudicato della parola performare. Lo stesso Debord.
Da sottolineare che a un certo punto troviamo scritto “attore, da agere, colui che agisce, che mette in azione”, il che fa capire che tra gli autori presenti in questo libro non c’è Carmelo Bene, che invece diceva “mi sono ripetuto dimostrando mille e mille più volte che il termine attore ha il suo etimo nell’agere retorico e nemmeno per sogno dal verbo agire”. L’atto non è messo in discussione.
Un testo ricco in cui lo spazio, il ruolo del pubblico, la relazione pubblico artista, il corpo che performa, sono analizzati dettagliatamente da molti punti di vista. E fornisce delle pratiche, alla fine di ogni capitolo, per migliorarsi in quest’arte. Ed ecco il primo esercizio da principiante: ogni persona del gruppo scriverà una domanda a un altro generico. I biglietti saranno pescati a turno dai partecipanti che, singolarmente, dovranno leggerli e rispondere alla domanda che trovano scritta.

Amore
Uno dei testi più letti in questo sito comprende nel titolo la parola sesso (per quanto poi era riferito alla sessualità di Kant). Vediamo come va il confronto con la parola amore. E per farlo prendiamo la relazione tra Abelardo ed Eloisa, all‘inizio del millennio scorso. Ed un testo teatrale costruito sulle loro lettere. Perché?
Intanto perché abbiamo trovato il testo teatrale di Ronald Duncan, pubblicato in Italia nel 1965, che semplifica, rimandando al rapporto tra i due, una corrispondenza che in realtà riguarda molto altro, comprese Regole religiose. Divertente è l’introduzione, in cui si ricorda come ai suoi tempi esistevano solo un paio di traduzioni delle lettere, nascoste in prestigiose biblioteche e che il povero Abelardo, grande intellettuale con una visione filosofica, poetica e culturale che prefigurava il Rinascimento, in tali traduzioni veniva definito, stante l’interpretazione del suo ruolo nella relazione con Eloisa al più “una querula cornacchia” (Montcrieff). Allo stesso modo di Eloisa si ricorda solo il suo amore infelice, abbandonando all’oblio tutta la sua opera di scrittrice, tra le maggiori dell’epoca e non solo.
Il testo si concentra sulla relazione tra i due, mantenendosi molto prossimo all’originale. La storia è nota: Abelardo, notissimo per le sue teorie rivoluzionarie insegnate a Notre Dame, viene preso come precettore della già colta Eloisa dallo zio di quest’ultima. Entrambi molto avvenenti, non passa molto che inizino una relazione, nonostante la gran differenza d’età, e che venga al mondo Astrolabio, il loro figlio. Per non perdere il proprio prestigio in seno alla chiesa Abelardo propone un matrimonio riparatore ma segreto, che viene inizialmente rifiutato da Eloisa, che dichiara a gran voce di preferire la sua condizione di amante, o concubina, che nulla chiede perché questa è la sola a garantire l’autenticità di un amore puro, che non deve piegarsi a compromessi per i possibili interessi economici e sociali che giustificano le unioni coniugali. Il secondo motivo per cui abbiamo scelto questo testo, infatti, è che parliamo d’amor cortese, dei tempi in cui senza ipocrisia si esplicitava la natura contrattuale del matrimonio, rispetto al vero amore che poteva esprimersi in tutta la sua autenticità solo se coinvolgeva gli amanti oltre i vincoli e le convenzioni sociali. Finisce con Abelardo castrato ed i due amanti, oramai comunque diventati sposi, costretti alla vita monastica. E qua, dopo qualche anno, iniziano le lettere in cui si capisce come per Eloisa la vita in convento è un sacrificio accettato per condividere la sorte di Abelardo, l’estremo tentativo di essere comunque unita a lui; per Abelardo la scelta del monastero è imposta per non indebolire il suo prestigio. Se quest’ultimo, essendo maschio, cercherà di risolvere la tensione tra ragione e passione dando la primazia alla prima e rodendosi per aver rinunciato alla seconda, comunque inferiore, Eloisa invece cercherà un percorso di conciliazione tra le due tensioni, tra l’essere una badessa e contestualmente una donna innamorata. Il testo teatrale venne, e viene tutt’ora, abbondantemente rappresentato, ed è un primo splendido passaggio per chi volesse poi scoprire che anche il profondo Medioevo, senza attendere il caravanserraglio Rinascimentale, ha qualcosa d’interessante da dirci.

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