Amore e desiderio sono due cose distinte: non tutto ciò che si ama si desidera, né tutto ciò che si desidera si ama.
Miguel de Cervantes
Artississima a Torino continua ad essere la più importante ed internazionale delle Fiere italiane e non si piazza male nemmeno a livello europeo. Ora che, purtroppo, è finita si può capirne il gigantismo dai numeri: 181 gallerie, 34.000 visitatori, 700 collezionisti ospitati, 33 paesi rappresentati. Soprattutto, nonostante lo spirito sperimentale, ad Artissima si vende. Ed è per questo che è con gioia che anche quest’anno vi abbiamo partecipato (qui l’articolo precedente). Ecco qualche appunto:
Galleria A gentil carioca
Preliminari
Artissima è una fiera a tema. Quest’anno il focus è dato dall’antropologo brasiliano Renzo Taddei (che ha visitato la fiera) e da un suo saggio del 2022 “Relation of care”. Taddei, che è uno studioso del cambiamento climatico e del pensiero indigeno amazzonico, propone la cura dei viventi, umani e non, come paradigma universale che orienti ogni nostra decisione, per prendere contatto con altre forme di conoscenza e convivenza, generando così nuove possibili relazioni. Questo porta a una via nuova per il superamento dell’attuale crisi sistemica. Scrivendo di Mercato da qualche anno, ci pare una buona ed auspicabile speranza da lasciare in dote alle future generazioni, laddove ce ne siano ancora fra un po’, ma molto utopica da praticare nel presente perché significherebbe proprio mettere in discussione il Mercato, a partire, ahinoi, dalla mercificazione dell’arte. Ma sperare, anche in una fiera, è sempre bello.
Galleria Meno Parkas – Kestutis Kes Zapkus
Artissima è il centro di una settimana di eventi. Tutto l’art week torinese, con il lavoro degli ultimi 30 anni, rende la città partecipe dell’evento e davvero con un respiro internazionale. Viste le molte inaugurazioni, la fiera alternativa (The others), le gallerie che si aprono i musei aperti ecc. Il consiglio è di fermarsi più giorni possibile.
Innamoramento
Molte cose ci sono piaciute, ma, essendo comunque ArtVerona così vicina rischieremmo di ripeterci. Per cui la nostra opinabile scelta è di dedicarci essenzialmente alle differenze e a ciò che là non abbiamo visto, invitandovi allo sforzo di leggere, semmai, anche il precedente testo (qui l’articolo). In particolare ciò che caratterizza la Fiera di Torino è la presenza di gallerie straniere (quasi del tutto assenti a Verona) e l’uso un po’ più diffuso di linguaggi diversi da pittura/scultura/foto, per quanto queste ultime la facciano chiaramente da padrone. Con meraviglia abbiamo scoperto addirittura due installazioni sonore.
Galleria Alberta Pane– Romina de Novellis
C’è da dire che larga parte del merito va proprio alle gallerie straniere che osano un po’ di più. Lungo il testo ne racconteremo qualcuna, ma vanno fatti i complimenti, comunque, per il coraggio di molte gallerie rispetto alle opere portate, certamente riservate ad un pubblico di nicchia.
La Fiera si presenta molto curata. Se la rivoluzione non è un pranzo di gala, la preview di Artissima tende ad esserlo. I grandi spazi riservati e una certa fiducia nella Fiera, che in fondo si traduce con la possibilità di puntare su prezzi più alti, permettono l’esposizione di opere medio grandi o grandi. All’aspetto contribuisce una presenza di pubblico e di addetti ai lavori molto più alta di altre fiere, il che aumenta il tasso di profumo nell’aria (certi stand con molte presenze risultano tali e quali a una profumeria). Se poi si arriva a sera, come è capitato a noi, l’Oval del Lingotto illuminato aiuta l’atmosfera. Conseguenza immediata: fila al bar.
Amore
Quel che ci piace di lei:
Nir Altman: Galleria di Monaco, molto carina, tra le nostre preferite ad Artissima. Ha anche una sua piccola linea di pubblicazioni. Andate a vedere il sito perché, oltre a quello di cui parleremo qua, ha anche molti altri artisti interessanti. Troviamo le sculturine di Curtis Talwst Santiago, inserite dento scatole preziose. I temi principali di questo artista canadese, originario di Trinidad, sono la memoria e quella che lui definisce diaspora, volendo produrre una sorta di contro narrazione. Ma val la pena avventurarsi e vedere anche gli altri suoi lavori, che, in linea con il tema della mostra, ripartono dal maestro, nativo americano, con cui ha studiato culture, memorie, lingue alternative a quella “dominante”.
Mor Charpentier: Marwa Arsanios è un artista nata nel 1978 che lavora tra Berlino e Beirut. Le sue mostre s’intitolano Speranze radicali, Exodus, Resistere al presente. È interessante perché si occupa della violenza, non rappresentandola direttamente ma attraverso quelli che potremmo definirne le origini e i residui. Ideologici, linguistici, personali. È antropologa e s’è interessata della politica postcoloniale e dei neo marxismi. Qua abbiamo visto un bel telo, Untitled 2023, in cui lingua araba e sua traduzione sono rappresentate lungo gli assi di vento e sole della mappa del Nord del Libano. Tema: lo studio dell’influenza delle istituzioni nel definire paesaggio e proprietà attraverso lo specchio di uno specifico istituto detto Waqf, proprietà requisite che inizialmente dovevano servire all’aiuto dei poveri.
P420: Galleria di Bologna, vedi tu. L’artista che ci ha colpito è Shafei Xia, perché ci sta che a volte il linguaggio sia un po’ scanzonato. E qui la rappresentazione richiama l’arte erotica cinese, con tutti i simboli (dal fiore alla tigre, dagli organi sessuali esposti, al cavallino a dondolo) ed il colore rosso intenso di fondo. Una rappresentazione anche stilisticamente semplice, volutamente semplice, che ti invita a guardare ogni dettaglio a sé come, e non sia sacrilego dirlo, ci scusiamo prima, alcuni quadri di Matisse.
Materia: La Galleria vince un premio, per noi, essendo l’unica che abbiamo visto prendersi la briga di stampare un foglio A4 con una nota critica dell’artista esposto. Bekhbaatar Enkhtur è nato in un posto, per noi, meraviglioso e che vorremmo sempre visitare: Ulaanbaatar, Mongolia e peraltro ha vinto il premio Illy per la sezione Present/Future. A noi è piaciuto perché sa ricreare, con materiali davvero poveri, un’atmosfera antica, La ripetizione di teglie da forno in alluminio manipolare ricorda qualche immagine d’antichi templi o comunque anche qua di elaborazione di nuove memorie.
Galerie Jocelyn Wolff: Questa è una galleria innovativa. A partire dal fatto che si muove in barca, mezzi pubblici e bici, fino alla scelta degli artisti. Ha pure uno strano e certamente ecologico modo di utilizzare l’acqua, ma non abbiamo ben capito. Qua segnaliamo una installazione divertente. Passeggiando ad un certo punto si veniva colpiti da un rumore strano: canto d’uccelli. Arrivava da Auspicio I di Hilario Isola e Enrico Ascoli. Installazione con bulbi di vetro, robe dentro che fermentano e agiscono su richiami da caccia, al resto pensa un bell’apparato di registrazione. Titolo e realizzazione portano a pensare sia un richiamo alle forme di divinazione ancestrale, attraverso ad esempio, il moto ed il canto degli uccelli.
Galerie Papillon: Charles Le Hyaric finisce con la sua galleria nella sezione disegno. Ed effettivamente ritrae i tratti della natura, un’onda, un cielo, qualcosa che si trova dalle parti di Marsiglia o lì intorno. Certo i suoi dipinti hanno una gran forza evocativa e meritano di stare tra le cose belle. Così come la sua galleria, specializzata in lavori carta e disegni di nuova figurazione.
Delusione
Non molte le cose che non ci sono piaciute. Una è certamente l’avanzante moda di scrivere i nomi di artisti e gallerie a matita sui muri degli stand. Ma perché devo perdere tempo ad interpretare la calligrafia e cercare, normalmente a margine o in basso, le scritte? Non diteci che una galleria che espone opere da migliaia di euro non poteva spenderne 10 euro per fare delle etichette. Così come la pressoché totale assenza di una descrizione dei lavori. La questione ambientale, evitare lo spreco di carta, non conta, visto che le più avvedute hanno fatto dei semplici Qr code di rimando.
La sezione disegno. A noi continua a sembrare una di quelle deboli. Ma non è colpa di Artissima né delle gallerie che s’impegnano in questo medium così retrò. Sarà la fase della ricerca che s’è lasciata dietro l’iperrealismo per cercare nuove vie non ancora consolidate, oppure noi che siamo incapaci di apprezzare. Certamente sarà una delle sezioni che ha venduto di più, visto che per dimensioni e costi normalmente sono opere più abbordabili. Però non ci convince.
Tradimento
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è un’istituzione con spazi bellissimi ed obiettivi importanti (promuovere i giovani artisti con attenzione alla committenza). Ha inaugurato due esposizioni che abbiamo visto con soddisfazione.
Visual Persuasion di Paulina Olowska (dura fino a marzo), è una personale molto grande che dialoga con artisti della collezione della Fondazione. La prima cosa che ti colpisce a dire il vero è un lavoro di Thomas Hirschhorn, ‘Ingrowth’ del 2009, una lunga fila di manichini con lo stomaco perforato, una coroncina con parole quali grazia, giustizia, speranza, fede, e dalle lunghe trecce simil avatar.
La sua nota stilistica trash esaspera le orripilanti immagini che alcuni manichini hanno ai loro piedi: persone sventrate e massacrate. Ma poi proseguendo non puoi che essere assorbito dall’universo di erotismo scanzonato, provocato, subito della Olowska. Per farlo vengono esibiti vari cliché dell’erotismo di varie epoche ed utilizzati tutti i medium possibili, dal collage alla pittura, dal neon al video.
Vestiges di Peng Zuqiang si svolge tutto in due stanzette buie. Dura fino a gennaio e l’autore ha vinto l’anno scorso il premio Illy Present/Future. Ciò che è piaciuto a noi è Deja vu, in cui il filmato stesso si fa corpo attraverso un video in 16 mm realizzato con la tecnica del fotogramma, esponendo un filo di 30 m direttamente sulla pellicola negativa. La pellicola ha un audio che ripercorre episodi abbastanza traumatici della vita dell’autore e di altre persone.