Istinti e istituzioni- Instincts and Institutions

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L’immagine che illustra questo breve testo è un dettaglio della Giovane donna al virginale che gioca con un cane di Gabriel Metsu (1665) che poi riporteremo più sotto integralmente.

Perché abbiamo scelto questo quadro?

Nell’opera dell’artista olandese, che rappresenta con un tema standard dell’epoca una banale scena d’interno, in maniera inconsulta una finestra, quella del dettaglio, che dovrebbe dare su una strada o su un paesaggio s’affaccia invece su una campitura astratta. Dice di questo scarto Daniel Arasse “prima ancora che il mondo sensibile o l’instaurazione di uno spazio illusorio, la pittura è una composizione geometrica di colori”. Per quanto realistico il quadro, per quanto ricercata la composizione, la rappresentazione richiama solo se stessa, la sua verità e da cercare al suo interno.

Ci è venuto in mente pensando al virus che ci tiene chiusi in casa guardando quello che capita intorno a noi ed in particolare in rete. Abbiamo bensì atteso un po’ prima di scrivere qualcosa perché ci ha colpito e condividiamo quanto detto da Adrian Paci durante un’ennesima diretta su Facebook, questa volta della Triennale di Milano: “gli artisti non sanno stare confinati, devono per forza esprimersi: è una questione di ego”. Senza per questo esprimere giudizi sulla proliferazione di interviste, video, arte digitale o digitalizzata per l’occasione abbiamo pensato, per noi come collettivo, di evitare.

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D’altra parte, preso atto che la reclusione serviva a combattere il virus, abbiamo visto che davvero pochi si sono interrogati fino in fondo su cosa significa accettare delle restrizioni alle proprie libertà in cambio della sopravvivenza, della nuda vita ( a cui anni fa abbiamo dedicato un lavoro mater/zoopolitica). In tal senso la contraddizione massima di questi tempi è quella tra il racconto della necessità della cultura, da fornire anche virtualmente, e il dato di fatto che quel che ci viene concesso come essenziale è lavorare, fare la spesa, curarci.

Come abbiamo scritto altrove (www.supergiovane.com) in questo periodo in cui la fisicità viene preclusa, siamo tutti/e invitati/e a usare la rete come fosse un’accettabile sostituto. Sono chiusi i musei ma si possono visitare quelli virtuali, siamo incitati, persino nei decreti, ad acquistare on line. Questa immersione di massa e durevole in una vita virtuale è destinata probabilmente ad incidere nei nostri comportamenti futuri. L’assunzione alla rete della cultura, che è riconosciuta come altro dal fisico cibarsi-lavorare-stare in salute, avrà di certo conseguenze nella sua vivibilità e visibilità al di fuori della stretta cerchia degli adepti.

Dal distanziamento sociale dell’arte a quello tra le persone. Noi condividiamo quanto scritto dal filosofo italiano Agamben, sulla scia di Canetti: il distanziamento sociale, l’allontanamento di ognuno di noi dall’Altro, o dagli altri, tende a creare “una massa – ma una massa per così dire rovesciata, formata da individui che si tengono a ogni costo a distanza l’uno dall’altro. Una massa non densa, dunque, ma rarefatta e che, tuttavia, è ancora una massa, se questa, come Canetti precisa poco dopo, è definita dalla sua compattezza e dalla sua passività”. D’altra parte nella stessa Europa, in Ungheria e Slovenia, il virus è stato utilizzato per una svolta autoritaria.

Ci sembra particolare che proprio alcuni di coloro che scrivono d’arte, che da anni, con Derridà, hanno discusso di limite, margine, Altro ecc. proprio ora non colgano che si sta proprio discutendo di questo. In fondo la reclusione problematizza proprio l’aspettativa posta sull’Altro e le caratteristiche di un margine che separa definitivamente.

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Qua ritorna il buon Gabriel Metsu con la sua Giovane donna. E’ in questo che la sua finestra costruttivista ci ricorda la nostra condizione di clausura, perché nonostante tutte le foto di paesaggi, alberi in fiore, cibo particolarmente elaborato che pubblichiamo sui social, l’impressione è che tutti i nostri processi di soddisfazione si stiano concentrando all’interno dei muri che ci chiudono, il che significa certamente andare a modificare l’intelligenza sociale così come l’abbiamo conosciuta. Non è per forza negativo, non stiamo piangendo il bel tempo perduto, ma cercando di guardare al di fuori della famosa finestra.

In tal senso ci concentreremo per un po’ sui nostri confini, che ormai (e sarà così per molto visto che in Italia si parla di mesi di regole restrittive) non alludono a nulla se non a se stessi e sui loro guardiani, che sono i viventi più prossimi a noi.

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