Invito al viaggio/L’invitation au voyage: Palazzo Grassi/Punta della Dogana

Là, tout n’est qu’ordre et beauté,
Luxe, calme et volupté.

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Iniziamo dal dire che di seguito metteremo solo qualche immagine e un piccolo racconto, perché il tema di questo articolo è invitare ad andare a Venezia a vedere due mostre, Dancing with myself e Cows by the water. La prima una collettiva a Punta della Dogana, la seconda la più grande personale di Albert Oehlen in Italia. Poi, nei prossimi, scriveremo per bene del caro Nauman, l’ottima Cindy e di Oehlen.

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Gilbert&George

 

“Il bello di un evento eccezionale è che è eccezionale, e un evento eccezionale riproposto ogni anno non ha più niente di eccezionale” ha detto Martin Bethenod, Direttore e Amministratore delegato di Palazzo Grassi/Punta della Dogana annunciando queste mostre dopo Damien Hirst.

Noi potremmo anche non essere d’accordo, ma tanto è.

Partiamo dal fatto che apprezziamo la scelta curatoriale di Punta della Dogana. Lì si parla di corpo d’artista, della vanità dell’artista e dell’uso simbolico di se stessi. Pur essendo una mostra già in parte presentata altrove, di certo ci troviamo di fronte a molte aggiunte, site specific. Rispetto all’uso continuo, modaiolo, dell’altro da sé, a cui abbiamo dedicato molti scritti, qua finalmente si parla di sé, senza infingimenti. Non è una cosa banale. Non c’è nemmeno un autoritratto nel senso classico. Il corpo è raffigurato, fotografato, scolpito, ma non è il soggetto della rappresentazione. Sono 32 gli artisti rappresentati, tra loro Marcel Bascoulard, Marcel Broodthaers, Damien Hirst, Giulio Paolini si aggiungono a quelli già presentati a Essen nel 2016.

Di certo il corpo è quello pre digitale, e per questo dicevamo d’apprezzare la scelta delle opere. Cioè s’è compresa la grande differenza tra pre e post selfie, le modificazioni dell’arte, del corpo, della tecnologia e ci si è fermati un po’ prima, per evitare mescolanze improprie. Abbiamo più volte affrontato questo tema, se volete potete vedere la nostra intervista a VestAndPage sulla performance. ma di certo sarebbe peggio, mentre si studia l’effetto sul nostro Dna delle nuove possibilità relazionali fornite dalla tecnologia, fare finta non sia successo nulla.

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Da questo un certo piacevole gusto retrò della mostra, anche perché nella presentazione il Direttore ha detto che la prossima sarà probabilmente dedicata a questa nuova tematica. Cioè al corpo, d’artista o meno, nella furia della continua condivisione e modificazione.

A palazzo Grassi il buon Albert Oehlen porta 80 opere. Dobbiamo dire che effettivamente fa un po’ strano vedere la corte interna senza il gigante di Hirst…

Ma poi si passa alla musica, a ciò che più di tutto, dal jazz alla tecno, incide, supporta, regola persino l’allestimento della mostra.

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Non c’è un ordine cronologico e spesso nemmeno tematico (se non consideriamo senza titolo un tema). C’è una ricerca ritmica, in cui ci si accorge delle ripetizioni e delle cesure, dei colori e dei bianchi e neri, dei simboli ripetuti e abbandonati, in anni diversi o magari con incastri fuori tempo.

Si va per sedimentazione di un idea più che per tema e alla fine arrivi a nove settimane e mezzo proiettato su una tela di Albert o a una musica forsennata, a una bibita mista di te e caffè (al gusto così così ma aiuta un progetto umanitario quindi vale la pena) fino agli skate da lui disegnati.

 

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Oehlen_OhneTitel_2016

Fa uno strano effetto. Poichè ci si trova di fronte a un particolare allestimento, nè troppo riferito agli spazi nè a  una filologia rigorosa. Pure progettato rispetto ai lavori presentati. e comunque, al solito, abbondante.

english version

Là, tout n’est qu’ordre et beauté,
Luxe, calme et volupté.

Let’s start by saying that below we will only put some pictures and a little story, because the theme of this article is to invite to go to Venice to see two exhibitions, Dancing with myself and Cows by the water. The first one is a collective exhibition at Punta della Dogana, the second is the largest solo exhibition of Albert Oehlen in Italy. Then, in the next, we will write well for dear Nauman, the excellent Cindy and Oehlen.

 

The beauty of an exceptional event is that it is exceptional, and an exceptional event repeated every year no longer has anything exceptional “said Martin Bethenod, Director and CEO of Palazzo Grassi / Punta della Dogana announcing these exhibitions after Damien Hirst.

We may even disagree, but it is so.

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Let’s start from the fact that we appreciate the curatorial choice of Punta della Dogana. There we talk about the body of the artist, the vanity of the artist and the symbolic use of oneself. Although it is an exhibition already partly presented elsewhere, certainly we are faced with many additions, site specific. Compared to the continuous use, fashionable, of the Other of itself, to which we have dedicated many writings, here finally we talk about ourselves, without pretense. It is not a trivial thing. There is not even a self-portrait in the classic sense. The body is depicted, photographed, sculpted, but it is not the subject of representation. 32 artists are represented, among them Marcel Bascoulard, Marcel Broodthaers, Damien Hirst, Giulio Paolini are added to those already presented in Essen in 2016.

Certainly the body is the pre-digital one, and for this reason we said to appreciate the choice of the works. That is, they understood the great difference between pre and post selfie, the changes in art, body, technology and they stopped a bit ‘before, to avoid improper mixes. We have repeatedly addressed this theme, if you want you can see our interview with VestAndPage on performance. but certainly it would be worse, while studying the effect on our DNA of the new relational possibilities provided by technology, pretend nothing happened.

From this a certain pleasant retro’ taste of the exhibition, also because in the presentation the Director said that the next one will probably be dedicated to this new theme: the body, of artist or not, in the fury of continuous sharing and modification.

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At Palazzo Grassi, the good Albert Oehlen brings 80 works. We have to say that it’s actually a bit strange to see the inner court without the Hirst giant …

But then we move on to music, to what most of everything, from jazz to techno, affects, supports, even regulates the preparation of the exhibition.

There is no chronological order and often not even a thematic one (if we do not consider a theme untitled). There is a rhythmic search, in which one realizes the repetitions and the caesura, the colors and the whites and the blacks, of the repeated and abandoned symbols, in different years or even with time-limited joints.

You go for settling an idea more than by theme and at the end you arrive at nine and a half weeks projected on a canvas by Albert or a crazy music, a mixed drink of tea and coffee (to taste so but helps a humanitarian project then worth) to the skateboards he designed.

It makes a strange effect. Since we are faced with a particular set-up, neither too much referred to the spaces nor to a rigorous philology, though Designed with respect to the presented works. and anyway, as usual, abundant.

 

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