Ah, ricordo un tramonto a Torino/ ah, I remember a sunset in Torino * (with our page on artukraine)

* Pirandello

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Artissima e la notte dell’arte/ Artissima art fair and the night of art

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Vedi tu s’è aggirato nel fine settimana torinese. Abbiamo visto, almeno una parte, della notte bianca, di Artissima e degli eventi collaterali. Questo è un breve racconto, poi  tireremo un po’ le somme di quello che abbiamo incontrato.

Partiamo dal fatto che 20 anni fa Torino ha deciso di non proporre di nuovo le solite decorazioni natalizie, ma di investire sulle luci d’artista. Sappiamo bene quante resistenze  ci saranno state per decidere tra un angioletto in cielo che saluta la gente e una installazione di Zorio. Pure alla fine sembra i cittadini se ne siano fatta una ragione. Passare la sera con turisti (più o meno 100) che facevano foto all’installazione di Merz sulla Mole ci ha reso felici.

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Kesang Lamdark

 

Semmai volete cenare in zona, e non siete vegetariani, possiamo consigliare l’Acino in via S. Domenico ( per vegetariani e vegani La Capannina in via Donato). Se pure volete bere un ottimo americano allo zenzeroe non vi fanno impressione scheletri e teschi vari, andate alla Casa del Demone, di fronte all’Acino.

The  Others: Aggirandoci siamo capitati alla maggiore fiera  italiana d’energie creative. Cioè spazi indipendenti in luoghi recuperati ad hoc. Tali luoghi, purtroppo, non possono parlare o difensersi dal recupero, che spesso ne fa scempio. In questo caso, però, viene utilizzato per il secondo anno di fila un ex ospedale e l’effetto finale non è male. Ogni stanza, ogni sala operatoria, ogni corridoio sono  stati occupati da decine di gallerie (centinaia d’artisti) indipendenti. Un po’ il Salone dei rifiutati di Courbet .

Anche qui c’era other food, ovvero un’ottima mensa con vari cuochi gourmet. Ma sabato 4 teneva aperto  fino all’una, dunque ci siamo presentati. A parte una sensazione generale d’essere a una cosa studentesca, una divertente e allegra giornata giovanile dell’arte, noi avremmo dovuto trovarci di fronte a una rassegna di gallerie. Non di spazi pubblici, di luoghi d’espressione gratuita, ma di persone che, pur non essendo inserite in Artissima, si pongono il problema di vivere attraverso la vendita di opere, d’entrare nel Mercato. Alcune cose interessanti (su instagram abbiamo messo le foto di quello che ci è piaciuto), molto ego sparso inutilmente e poi, alla fine, ci siamo trovati di fronte agli anni 60, mentre due  ragazze si dipingevano il corpo nudo. Certo c’erano spazi, temi, lavori interessanti, che lasciano ben sperare, ma in generale ci aspettavamo, dai cosiddetti indipendenti, qualcosa di più o di diverso. D’altra parte  anche  la festa è stata un po’ deludente.

Artissima: La più grande fiera dell’arte d’Italia, invece, non lascia spazio a dubbi. Un’enormità, che non ci ricordavamo così grande, di gallerie a artisti significativi. In tal senso, grazie al lavoro della precedente curatrice (Cosulich Canarutto) e dell’attuale (Bonacossa) il labirinto si complica e si pone un po’ al confine tra una mostra (mostre?) e una fiera. Si sta in un range variabile tra qualche decina e qualche centinaio di migliaia di euro, ma in quell’intervallo c’è tutto. Se poi uno può comprare un Hirst, difficilmente lo fà a una

Le gallerie più note, molte italiane, gli artisti più venduti. Giri tra i vari sentieri colorati e ti trovi davanti Christo e Fabre e Zhijie. Possiamo poi discutere dei premi, a chi sono assegnati, ma tutto sommato possiamo anche essere grati di una sorta di sindrome di Stendhal che ti coglie, a volte, durante il percorso.

Jan Fabre

Cosa abbiamo notato?

Innanzitutto un gran numero di donne che per noi, in quanto collettivo, è certamente un dato importante. Artiste donne, gallerie di tutto il mondo gestite da donne, un gruppo curatoriale e organizzativo al femminile. Anche nella sezione storica. Abbiamo visto di lato una serie di foto di Gina Pane impacchettate, probabilmente perché vendute.

La sezione disegni: Vale la pena costituire una nuova sezione dedicata questa forma d’arte? Siamo in dubbio. Avere uno spazio ad hoc ha incentivato le gallerie a proporre questo tipo di lavori, incrementandone di certo la presenza e valorizzandone l’importanza. Alcune gallerie hanno portato opere che, probabilmente, altrimenti avrebbero lasciato a casa.  Ma quante sono le opere che non potevano stare altrove? E, d’altra parte, disegni e foto, che d’uso costano di meno,  in una fiera li avremmo visti comunque. Pure a The Others gli spazi indipendenti portavano disegni se volevano vendere qualcosa.

Una certa continuità nei linguaggi. Togliamo alcune cose eccedenti, che  non ci spieghiamo in una fiera, ma nella gran parte dei casi ci troviamo d fronte a una lingua condivisa, nel Mercato. Non è che non vediamo le differenze tra gli artisti o tra le gallerie. Tra un artista iracheno e uno finlandese, una galleria statunitense e una ucraina ci sono evidenti discontinuità. Pure, però,  c’è qualcosa, un sottofondo, difficile da spiegare in poche parole, che troviamo uniforme in tutte le proposte. Ci confermiamo un pò nell’intuizione che l’arte attuale si configuri non come un dato temporale, gli artisti che lavorano proprio ora,  ma come un unico grande movimento, che la globalizzazione rende mondiale. anche nel futurismo, per l’appunto, c’erano differenze tra gli artisti, pure si riconoscevano in un progetto. Il contemporaneismo come movimento senza manifesto, basato di più sulle connessioni e le uniformità che il Mercato permette. Se uno si perde nel percorso, segnato da righe colorate, proprio  per questo ha difficoltà  a trovare la retta via. Tra il viola e il giallo stesi a terra, tra dialoghi e futuro, c’è una relativa differenza espressiva.

Ci rimane il dubbio di quale sia la differenza tra un curatore di una mostra, qualunque, e di una fiera, come questa. Nell’una non c’è problema di Mercato (almeno nell’immadiato, poi certo è dietro l’angolo) nell’altra si deve stare nel Mercato. La prima è spesso finanziata, la seconda si procura i finanziamenti. E’ tanto strano preferire Artissima?

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Marco Gastini

 

Vedi tu has been in the Turin weekend. We’ve seen, at least a part of the white night, Artissima and his side events. This is a short story, then we’ll take some of the sums we’ve met. We start from the fact that 20 years ago the city decided not to propose Christmas lights again, but to invest in artist lights. We know how many resistance by citizens to decide between an angel in the sky who greets the people and a Zorio installation. In the end, it seems that the citizens get’s a reason for this. Goes in the evening with tourists (more or less 100) who did photos at Merz with his installation at the Mole, made us happy. If you dine there, and you are not vegetarians, we can recommend Acino in S. Domenico (for vegetarians and vegans La Capannina in via Donato). If you also want to have a good Americano with ginger and see the bathroom mirror that makes you afraid, go to the Demon House, in front of the Acino.

The others :Dancing arounds, we came to the biggest Italian creative energie’s exhibition. That is, independent spaces in reclaimed places ad hoc. Spaces who dont have right to word, they are retrieved and patience. In this case, for the second year, a former hospital. Each room, each operating room, each corridor was occupied by dozens of independent galleries (hundreds of artists).

Just like the salon of the rejected that was oranized by Courbet

 Also here there was the “other food”, which is a great meal with various gourmet chefs. But on Saturday 4th it was open until 1 am , so we went there. Apart from a general feeling of being in a students thing, a fun and cheerful youthful day of art,we thought we had to find a review of galleries. Not public spaces, free expression sites, but people who, while not in Artissima, are faced with the problem of living through the sale of works, at least  to enter in the market. Some interesting things, very ego scattered and then, in the end, we were faced in the 1960s while too girls were painting their naked body. Certainly there were spaces, themes, interesting works that left us well hope, but in general we expected, from the so-called independents, something more or different. On the other hand, the party was a little disappointing.

Artissima:  The largest art fair in Italy, instead, leaves no room for doubt. An enormity, which we didn’t remember so great, of galleries and significant artists. In this sense, thanks to the work of the previous curator (Cosulich Canarutto) and the present (Bonacossa), the labyrinth becomes more complicated and settles somewhere on the border between an exhibition (exhibitions) and a fair. It is in a range variable  from about ten to some hundred of thousand euros, but in this interval there is everything. If one can buy a Hirst, he hardly does it in a fair. The most famous galleries, many Italians, the best-selling artists. Turn around the various colorful paths and you’ll find Christo and Fabre and Zhijie. We can then discuss the prizes and whom they are assigned, but all in all we can also be grateful for some sort of Stendhal syndrome that catches you, sometimes, along the way.

What did we notice?

First and foremost, a large number of women who, for us as a collective, are certainly important. Women’s artists, galleries around the world run by women, a curatorial and organizational group of women. Even in the historical section. We’ve seen side by side a series of Gina Pane photos packed, probably because they were sold.

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The drawing section: Is it worthwhile to set up a new section dedicated to this art form? We are in doubt. Having a dedicated space has encouraged the galleries to propose this type of work, enhancing its presence and increasing its importance. Some galleries have brought works that probably would otherwise have left home. But what are the works that could not be anywhere else? And, on the other hand, drawings and photos, which cost less, at a fair we would have seen them anyway. Also at “The others” the independent spaces must offered photos and drawings if they wanted to sell something.

Some continuity in languages. Let’s remove some surplus things, which we do not explain at a fair, but in most cases we are faced with a shared language, in the Market. It is not that we don’t see the differences between the artists or the galleries. Between an Iraqi artist and a Finnish, a US gallery and an Ukrainian there are obvious discontinuities. Yet, there is something, a background, difficult to explain in a few words, that we find evenly in all the proposals. Confirming us, a little, in the intuition that current art is not configurated as a temporal fact, artists who work right now, but as a single large movement that the globalization makes world-wide. Even in futurism, in fact, there were differences between the artists, even if they were recognized in a project. Contemporaryism as a movement without a manifesto, based more on the connections and uniformities that the Market allows. If one is lost in the path, marked by colored lines, it is difficult to find the right way. Between the purple and the yellow on the ground, between dialogues and the future, there is a relative expressive difference.

There remain the doubt what the difference between a curator of an exhibition and a fair like this one. For the first there isn’t a Market problem (at least in the immediatly, then certain is around the corner) in the other you have to be in the Market. The first is often funded, the second need a fundrasing. Is it so strange to prefer Artissima?

 

 

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