Di nuovo? La fine
Quel che fin’ora mi ha fatto
soffrire è d’aver rifiutato il vuoto
A. Artaud – Nuove rivelazioni sull’essere
Sappi che non finirà tanto presto,
e che non sentirai piacere.
300
In questo nostro viaggio arriviamo dove finisce la mappa. Sul confine (non Margine che è abusato) tra le cose che pensiamo un po’ di sapere, che ci portiamo dietro discretamente, e quelle su cui alla fine non possiamo che azzardare. Teniamo prudentemente un piede al di qua e uno al di là, anche se questo Confine, in sé, ci pare troppo caricato di senso dai secoli trascorsi. Forse è meglio dire che affrontiamo un soggettile, nel senso di Artaud, che è qualsiasi cosa, tutto e il resto, ciò che è senza esserlo (Derridà). Senza voler esserlo diremmo noi.
E proprio qui ci chiediamo sommessamente: esiste ancora una tensione tra il Corpo, tra i corpi, e l’organizzazione dei rapporti sociali? In fondo molti di noi sono giunti fin qua seguendo una linea che ancora s’orientava in base ad un corpo che si poneva come ultimo baluardo irriducibile, che in qualche modo si ribellava alle imposizioni dell’organizzazione umana che voleva uniformarlo.
Una via aperta da Platone, su su fino al Beato Angelico del Cristo incoronato di spine (1450) arrivando a Bruce Nauman. Il corpo che esibisce le sue ferite, compreso eppure distaccato dal racconto del Mercato, dei mercati. Pensiamo al Beato Angelico. Il suo Cristo è sì in posa iconica, frontale, immobile, eternabile, ma porta su di sé ferite umanissime che grondano sangue copioso e addolorato, i suoi occhi sono rossi di sofferenza. Insomma i suoi liquidi corporei si ribellano a tutta questa eternità, a tutta questo divino che gli viene fornito dalla sua posa. Le nostre ultime guide su questo sentiero potrebbero essere Bruce Nauman, Vito Acconci, Gina Pane una volta che abbiamo voltato le spalle all’ azionismo viennese. Ci si ferisce, dunque, si fa penitenza oppure il suo opposto, si rinuncia al cibo, ci si taglia, si sparge il sangue, usiamo lame e lamette, si rendono visibili sulla nostra carne esplicitamente le oppressioni, le nevrosi, i tabù imposti dalle società. Ma chi ci accoglie, sornione, è Ron Athley, che nella serie delle sue foto del 2000, si dispone languidamente coperto di siringhe su un bel broccato, la luce certamente è quella giusta.
Prendiamo un attimo queste cartoline per riflettere sul nostro viaggio. Mettiamo in fila il Cristo, l’Azione sentimentale di Gina Pane e le foto di Athley. E’ evidente solo a noi come il corpo, svuotato dagli organi, progressivamente si ritrovi raccontato bellamente dal Mercato? Il sangue non sembra più sangue, gli occhi sono straordinariamente bianchi. Alla fine, ironicamente, sesso e malattia, desideri e oppressioni, dolore e nevrosi, elettroshock e droghe sono ormai tanto agiti dal Mercato da lasciare in noi infinitesimi segnali che indirizzano naturalmente la nostra mutazione.
Trovandoci di fronte ad un’esperienza vintage come Orlan non proviamo nessuna emozione né curiosità. Le protesi rimaste sulla sua fronte c’interessano, ma non solo a noi, meno della fila all’angolo del vino del buffet. Il Mercato, già da tempo, non espelle più ciò che riceve da fuori, gli scarti e i rifiuti che cercano di gettarsi contro il Sistema. Per non dargli ragione ha tolto la maiuscola al sistema e non li fa più uscire dal suo corpo. Se esiste un suo confine va indagato senza rifiuto, guardando semmai a noi stessi che ne facciamo parte. La controcultura vende abbastanza bene.
E difatti siamo abituati a dare consistenza granitica ai significanti, che invece sono entità bizzarre, che continuano a muoversi diventando altro da sé. Il famoso Corpo senza organi s’è realizzato ormai, ma in un senso diverso da come immaginato. Poiché la riorganizzazione dell’organismo imperfetto, la restituzione del corpo, passa attraverso la condivisione universale degli organi stessi attraverso il Mercato, che a differenza di Dio, non ha volontà. I nostri vuoti si muovono tra i significanti attraverso desideri che non sono più nostri, o imposti da un’autorità, ma condivisi, e solo così ne stabilizziamo l’impazzimento costruendoci sguardi sul mondo, sui mondi.
Ma se i corpi sono in comunione, se i nostri nuovi organi stanno assieme attraverso il reciproco, condiviso, desiderio che lambisce la nostra povera sensualità, lo scambiarsi pubblicamente strizzate d’occhio complici, ha ancora senso mettersi a fare performance? D’altra parte, come nel porno, ridimensioniamo nel tempo la funzione del pubblico. Da spettatore, più o meno consapevole, che sta a guardare gioiosamente il sangue del performer che cola, si becca una ottima schizzata di sperma, partecipa, infine, sorpreso al ribaltarsi dell’interno con l’esterno, al pubblicizzarsi del nostro intimo, si ritrova ad essere espulso dalla scena. Se pensiamo alla sequenza temporale, ai pavimenti sempre più luccicanti del povero Franko B, corrispondenti peraltro al suo ingrassare, vediamo che la folla osannante di passo in passo diviene attrice, si mette là con la giusta espressione stupita, affranta, spaventata in base a un copione scritto a posteriori attraverso la scelta delle foto.
Tra l’atto, semmai c’è, e la decisione della sua rappresentazione pubblica (acquisito il pubblico) sta la mediazione fruttuosa del Mercato che rimuove ogni termine marcato, (secondo Derridà), ogni dominante, per rendere ogni opposizione, ogni durezza, adatta alla generalità.
Prendiamo il termine più marcato, più pesante di significato: la Morte (Le morti). In fondo tutto questo nostro pellegrinare inizia con una morte, che ci ha messo in cammino. Un anno fa è morta all’improvviso una povera giovane ragazza. Il giornale locale, per giorni e giorni, ha pubblicato una sua foto tratta da Facebook. Un volto deforme, lisciato e modificato da qualche povera app gratuita, messo al pari dei pupazzetti che si possono comprare in autostrada, bello come l’alieno di Cocoon. Nessuno s’è preoccupato di tale rivoluzione del corpo, l’abbiamo presa come fosse effettivamente così, nella sua mostruosità accettabile. Di più: lo stesso giornale ad un certo punto ha iniziato a pubblicare le foto vere della ragazza, affiancate da quelle FB. Lei con la madre, Lei da sola e Lei modificata da qualche app . Di nuovo nessuno, nella giustapposizione di lei e della sua immagine mercantile, ha avuto dubbi, nessuno ha contestato che quelle due immagini totalmente diverse potessero raccontare lo stesso volto. E dunque anche in morte il nostro corpo e quello donatoci dalla mutazione voluta dal Mercato coincidono. Per legare realtà e linguaggio bisogna lottare, si diceva, oppure evidentemente farsi sopraffare dal possibile fraintendimento dei due, nell’esplicito voler dire che si crede di poter recuperare come possibilità del logos.
Per cui non è più vero che se c’è una cosa 1 e una 2, di sicuro sappiamo che l’1 non è il 2 e viceversa. Nel mercato vivo o morto, volto e maschera, 1 e 2 sono uguali. La catena dei significanti s’attorciglia mossa dalle ignude mani del Mercato e, alla fine, bisogna rinunciare a sentire parole che diciamo umane, udendo invece parole nuove, che parlano gocciole e foglie lontane (O Ermione) dei nostri corpi che si fondono in uno/molteplice. Ora si possono leggere ironicamente molte profezie, svuotandole. Forse aveva ragione Artaud, niente di meglio che rifiutare la genitorialità con l’auto castrazione.
D’altra parte da cosa inizia l’arte?
Dal fare smorfie, dal renderci maschera per gli altri senza proferire parola. La maschera mortuaria è il nostro primo volto rappresentato ma non perfettamente aderente poiché nell’interstizio tra noi e la maschera vivono i rapporti sociali in cui siamo stati immersi in vita.
1938, Marcel Mauss: la maschera è la persona sociale.; 1960, Claude Levi- Strauss “c’è un’incredibile diversità nelle maschere: il loro significato è inscindibilmente legato a un culto locale”.
Dalle caverne ad oggi il volto è ancora in cerca di se stesso. La nostra ragazza, noi stessi, siamo tutti figli/e di Grace the Dummy, il famoso manichino che prese la prima pagina di Life nel 1937, appropriandosi del piacere, motivandolo con il suo essere un po’ plastica un po’ carne.
Il nostro essere un corpo senza organi, senza aspetto definito, nell’assenza di giudizio, s’addolora per se stesso attendendo i giudizi non ancora dati. In una morte che non c’è, poiché impensabile, in un Dio che non esiste più, essendo la nostra comune nascita e crescita priva di Volontà, in una permanenza che c’è permessa dalla crisi, i nostri oggetti ereditati, viventi, i nostri organi donati, non ci resta che danzare su un vuoto che è nostro e del Mercato. Scriviamo attorno al nulla, godendoci pienamente la strada, odiando ogni scaramuccia che ci vuole irretire, fermare. Alla fine ci sembra che Nusra Latif Qureshi col suo Did You Come Here to Find History, esposto alla Biennale di Venezia del 2009 ci rappresenti. 9 metri di pellicola trasparente di stampe digitali con sovrapposte la foto del suo passaporto a quelle di una ventina di volti di sovrani dell’impero Moghul. L’orientalismo, il rispetto dell’Altro che ne prevede la soggezione, le identità rigidamente separate sono qui messe in discussione. Eppure quante resistenze a quest’ovvietà, quanto romanticismo che s’illude d’essere unico.
“Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!“ (Fight Club). Ovvero devi essere felice, come noi.
english version
Again? The new
What so far has made me
suffer is that I had refused the void
A.Artaud
This will not be over quickly.
You will not enjoy this.
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In our journey we get to where the map ends . On the border (margin is abused ) among the things we think we know, that we carry discreetly , and those on which the end we can only to risk . We keep one foot cautiously on this side and the other beyond , although this border , in itself , it seems too loaded of meaning from past centuries . Perhaps it is better to say that we face at one subjectile , in the sense of Artaud , that which is anything and everything else , that which is without being one ( Derrida ) . Without wishing to be we would say .
And here we ask softly : There is still tension between the body , between the bodies , and the organization of social relations ? After all many of us have come this far by following a line that still s’orientava according to a body that arises itself as the ultimate irreducible rampart , that somehow rebelled to the impositions of human organization that wanted to bring it .
A path opened by Plato, right up to the Christ crowned with thorns (1450) of Beato Angelico, coming up to Bruce Nauman. The body exhibits his wounds, included but detached from the story of the market, of the markets. Think of the Beato Angelico. His Christ stays in iconic poses, front, immobile, eternabile, but carries on its very human wounds, dripping blood copiously and sorrowful, his eyes are red of suffering. In short, the fluids of his body are rebelling against this whole eternity, to all this divine that comes from his pose. Our latest guides on this path could be Bruce Nauman, Vito Acconci, Gina Pane once that we have turned our back to ‘Viennese Actionism’. There is hurt, then, do penance, or its opposite, you give up the food, you cut, it sheds the blood, we use knives and razor blades, become visible on our skin roundly the oppressions , the neuroses, the taboos imposed by society. But who welcomes us, slyly, is Ron Athley, that in the series of his photos in 2000, it has covered with syringes languidly sprawl on a beautiful brocade, light is certainly the right one.
Let’s take a moment to reflect about these postcards on our trip. Get in line the Christ, the sentimental action of Gina Pane and the photos of Athley. And ‘only evident to us as the body, emptied by the organs, gradually it told beatifully from the Market? The blood does not seem more blood, the eyes are remarkably white.
At the end, ironically, sex and disease, desire and oppression, pain and neuroses, electroshock and drugs are now so acted by the market to leave us infinitesimal signals that naturally guide our mutation.
Finding ourselves in the face of vintage’s experience like Orlan we don’t feel any emotion or curiosity. The implants remained on his forehead interest us, but not only to us, less than the wine’s buffet corner. The market, already for some time, don’t expels what it receives from outside, waste and refuse that seek to throw himself against the system. For Not give him reason has removed the capital letter to System and it does not make them go out from his body. If there is a border it should be investigated without our refusal, looking rather to ourselves that we are part of it. The counterculture sells quite well.
And in fact we are used to give texture granite to the signifiers, which instead are bizarre entities, which keep moving to becoming something else. The famous body without organs hath been made now, but in a different sense as imagined. Since the imperfect body reorganization, the return of the body, passes through the universal sharing of the same organs through the market, which unlike God don’t has will.
Our voids are moving between the signifiers through desires that are not ours, or imposed by an authority, but shared, and only then will we stabilize the madness, thus building views of the world, on the worlds.
But if the bodies are in communion, if our new bodies are together through mutual, shared, desire that laps our poor sensuality, the public exchange to squeezes of our eyes, still make sense do performance? On the other hand, as in porn, we resize time in the public’s function.
As a spectator, more or less conscious, which stands to watch joyously the performer’s dripping blood , he gets a good cum splashed, participates finally surprised to see overturn the interior with the exterior, to advertise of our intimate, you found to be expelled from the scene. If we think of the timeline, the floors gleaming increasingly poor Franko B, corresponding also to his fatten, we see that the cheering crowd, step by step, becomes an actress, you put there with the astonished right expression, distraught, frightened according to a script written in retrospect through the choice of photos.
Among the act, if rather there was, and the decision of its public representation (acquired the public) there is the successful mediations of the market that removes any marked word (Derrida), each dominant, to make all opposition, any hardness, suitable for general information.
We take the most marked term, the heavier meaning: the Death (Deaths). At the end all this our journey begins with a death, that put us on the road. A year ago she died suddenly a poor young girl. The local newspaper, for days and days, has published a picture taken from Facebook. A deformed face, smoothed and modified by some poor free app, made like the dolls that you can buy on the highway, as beautiful as the alien of Cocoon. No one was worried about such a revolution in the body, we took it as if it were really so, in its acceptable monstrosity.
And more, the same newspaper at a point began to publish real photos of the girl, flanked by the FB photo. She with her mother, alone, and she changed from some app. Again no one in the juxtaposition of her and her merchant’s image, had doubts, no one has disputed that those two totally different pictures could recount the same face. So even in death, our bodies and those given us by the desired mutations by the market it coincides . For link reality and language you have to fight, it was said, or be overwhelmed by the possible misunderstanding of the two, in the mean that is believed to be able to recover as the possibility of logos.
So it is no longer true that if there is one thing 1 and 2, for sure we know that 1 is not the 2, and vice versa. In the Market, Dead or Alive, face or mask, 1 and 2 are equal. The chain of signifiers is twisted by the naked hands of the market and, at the end, you have to give up to hear words we say human, instead hearing new words who speaking drops and leaves distant (O Ermione) of our bodies melting into one / multiple. Now you can read ironically many prophecies, emptying. Perhaps he was right Artaud, nothing better to refuse the parenting with castration car.
On the other hand where the art begins?
By grimacing, make of ourselves a mask to the others, without a word. The death mask is our first face represented but not perfectly fitting because in the gap between us and the mask, lives the social relations in which we were immersed in life.
1938, Marcel Mauss: the mask is the social person .; 1960, Claude Levi-Strauss, “there is an incredible diversity in masks: their meaning is inextricably linked to a local cult.”
From caves to today the face it is still in search of itself. Our girl, ourselves, we are all sons of Grace the Dummy, the famous dummy that took the first page of Life in 1937, appropriating the pleasure, justified by its being a little ‘plastic a little’ meat.
l our being a body without organs, without a defined aspect, in absence of judgment, s’addolora for himself awaiting judgments not yet given. In a death that is not there, because inconceivable, in a God who does not exist anymore, since our common birth and growth, without Will, in a permanence that is allowed by the crisis, our inherited objects are alive, our organs donated, we just have to dance on a vacuum that is ours and of the market. Writing around at the nothing, fully enjoying the road, hating every skirmish it takes ensnare, hold. In the end it seems that Nusra Front Latif Qureshi, with his Did You Come Here to Find History, exhibited at the Venice Biennale of 2009, represent us. 9 meters of plastic wrap digital prints with superimposed the photo of his passport to those of twenty faces of the Moghul empire rulers. Orientalism, the respect of the Other that he expects awe, the rigidly separate identities are challenged here. But how resistors at this
obviousness, how much romance that deceive himself to being unique.
“You are not your job, you’re not the amount of money you have in the bank, you’re not the car that you drive, or the contents of your wallet, you are not your brand clothes, you’re the all singing and dancing crap of the world! “(Fight Club). you have to be happy as we are.